INDICE
1.PREMESSA
A giugno scorso ho pubblicato un articolo sulla “Fiscalizzazione in zona paesaggistica” anticipandovi che avrei pubblicato altri articoli in tema di regolarizzazione di opere eseguite illecitamente in zona vincolata.
Così ho ritenuto di affrontare un argomento davvero molto ostico e anche grande oggetto di dibattito giurisprudenziale e dottrinale: l’autorizzazione paesaggistica postuma.
L’articolo precedente aveva l’obiettivo di spiegare come risulti legittimo regolarizzare molte opere – anche al di fuori dei limiti del comma 4 dell’art.167 del TU 42/2004 – in base alle previsioni del DPR 31/2017 ed in questo modo mettendo, quantomeno in discussione, alcune pronunce della magistratura amministrativa in materia.
Adesso però facciamo un passo oltre.
2.IL PARERE DEL MIBACT
L’Ufficio legislativo dell’allora denominato Ministero dei per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, con uno specifico parere del 27 aprile 2016, ha acclarato come “il parallelismo tra condono edilizio (regime eccezionale diretto a “sanare” abusi anche sostanziali) e accertamento di conformità ex art. 36 TUE eit. (regime ordinario diretto a “sanare” abusi edilizi solo formali) può essere senz’altro condiviso, quanto alla rilevanza e alla necessaria presa in considerazione del vincolo paesaggistico sopravvenuto, ma occorre chiarire bene il modo di tale rilevanza e la procedura appropriata per tale presa in considerazione, onde evitare esiti aberranti e palesemente sproporzionati.”
Il parere giunse a fronte di una posizione, a quanto pare non interamente sovrapponibile, in tema di sanatoria edilizia di illeciti in zona vincolata, tra la Regione Emilia Romagna ed il Comune di Bologna il quale, per tentare di dirimere la questione ha, per l’appunto, chiesto un parere al Ministero.
Il Ministero, probabilmente diversamente da come si aspettavano i suddetti Enti, si è espresso in favore della possibilità di applicare le regole autorizzative relative al condono edilizio che, come noto, è una procedura di “sanatoria edilizia in deroga e speciale”, alle regole della cd “sanatoria a regime”.
La posizione del Ministero era da ritenersi piuttosto sorprendente perché si è contrapposta alla posizione del Comune ritenendo inidoneo che “…tale valutazione debba avvenire nei modi e con i limiti (stringenti) di cui all’art. 167 del codice dei beni culturali e del paesaggio (ossia che, in ossequio al divieto di sanatoria paesaggistica ex post, la domanda debba essere considerata inammissibile ogni qualvolta sussistano aumenti di superficie utile o di volume) significa ritenere (non condivisibilmente) che la fattispecie oggetto di valutazione costituisca propriamente parlando un “illecito paesaggistico” da sanare (dal che la ritenuta applicabilità del combinato disposto degli arte. 146, comma 4, e 167, comma 4, del citato codice di settore), lì dove, invece, a ben vedere, in una fattispecie del genere di quella qui ipotizzata e oggetto di discussione, non sussiste alcuna ipotesi di illecito paesaggistico, per la semplice e risolutiva ragione che, al momento dell’infrazione (edilizia), non sussisteva alcun vincolo paesaggistico.”
Il Ministero prosegue mettendo in evidenza quale sia …”il modo “corretto” per acquisire le doverose valutazioni di compatibilità paesaggistica di quanto abusivamente realizzato prima dell’introduzione del vincolo paesaggistico? L’unico canone di legge al riguardo utile è evidentemente costituito dall’ordinario procedimento delineato dall’art. 146 del codice (escluso il divieto di sanatoria ex post stabilito dal comma 4 che, come detto, vale solo per le violazioni paesaggistiche e non può trovare applicazione in un caso di insussistenza dell’illecito paesaggistico). In buona sostanza, analogamente a quanto avviene in base all’art. 32 della legge n. 47 del 1985 in materia di condono edilizio, per come interpretata dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 1999, la valutazione di compatibilità paesaggistica dovrà avvenire, da parte dell’autorità preposta alla gestione del vincolo sopravvenuto, estesamente su tutto l’abuso commesso, senza le limitazioni speciali imposte dagli arti. 146, comma 4, e 167, comma 4, per i soli casi di violazioni paesaggistiche (non sanabili ex post se non entro gli stretti limiti ivi stabiliti).
In sintesi il Ministero concluse, piuttosto lapidariamente, in questo modo:
– non sussistendo un illecito paesaggistico, non ricorrono i presupposti per l’applicazione della disciplina sanzionatoria di cui agli artt. 146, comma 4, e 167 del codice, né dei limiti di ammissibilità della procedura di accertamento della compatibilità paesaggistica di cui al comma 4 dell’art. 167, applicabili ai soli casi di sanatoria di illeciti paesaggistici;
– non ricorre, pertanto, in una tale vicenda giuridica, l’ipotesi di divieto di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, in quanto il caso in esame non ricade sotto il divieto di sanatoria (art. 146, comma 4, e art. 167 del codice dei beni culturali e del paesaggio);
– la cosiddetta “doppia conformità” richiesta dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 impone che l’intervento edilizio – originariamente lecito dal punto di vista della normativa paesaggistica – dovendo essere conforme anche alla disciplina urbanistica ed edilizia, nonché paesaggistica vigenti al momento della presentazione della domanda di sanatoria, dovrà essere sottoposto, comunque, alla verifica di compatibilità paesaggistica, ma secondo le modalità e con la disciplina dell’art. 146 del codice.
3.L’EVOLUZIONE NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Mai come in questo caso la conoscenza dell’evoluzione normativa in tema di autorizzazione paesaggistica risulta importante.
Prima del TU 42/2004 – entrato in vigore il 1 maggio 2004 – il problema dell’autorizzazione paesaggistica postuma non costituiva un problema rilevante, infatti, il Consiglio di Stato nella sentenza n.1205 del 10.3.2004 affermava che «l’esame sistematico della disciplina di cui agli art. 7 e 15 l. n. 1497 del 1939 e dell’art. 13 l. n. 47 del 1985 consente di concludere nel senso della possibilità di formalizzare attraverso una autorizzazione postuma – in parte equipollente alla fattispecie di cui all’art. 7 – la verifica di compatibilità ambientale implicita nel meccanismo sanzionatorio di cui all’art. 17, così conferendo alla legittimazione paesaggistica una veste formale spendibile ai fini della favorevole definizione del separato procedimento di cui all’art. 13 l. n. 47 del 1985.
Con l’entrata in vigore del TU 42/2004 il legislatore ha introdotto il divieto di autorizzazione paesaggistica postuma specificando all’art.146, c.10, lett. c) che «l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi». Questo, nonostante nell’allora art.167 fosse prevista l’alternativa tra rimessione in pristino e pagamento della sanzione pecuniaria.
Dopo circa due anni – attraverso il D.Lgs 24 marzo 2006, n. 157 – il legislatore ha sostanzialmente riscritto l’art.146 del TU 42/04 stabilendo al comma 12 che «l’autorizzazione paesaggistica, fuori dai casi di cui all’ articolo 167, commi 4 e 5, non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi».
Con la successiva entrata in vigore del D.Lgs 63/2008 l’impianto non subì radicali variazioni salvo un aspetto importante collegato alle ulteriori modifiche intervenute all’art.146. Questo “nuovo” articolo ha mantenuto ferma la previsione del divieto dell’autorizzazione paesaggistica postuma spostandola al comma quarto dell’articolo 146 ma dopo aver previsto che «l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio», dispone espressamente che «fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi».
Aspetto di fondamentale importanza nel ragionamento complessivo che stiamo sviluppando.
4.LA GIURISPRUDENZA COSA NE PENSA
Dalla breve evoluzione normativa descritta e delle modifiche legislative intervenute all’art.146 del TU 42/02 sono convinta che sarete tendenzialmente portati, anche alla luce dei numerosi pronunciamenti giurisprudenziali non esattamente allineati al parere del Mibact, a pensare che quest’ultimo sia stata una posizione isolata.
Non è così. In particolare in ragione delle intervenute modifiche al comma 4, dell’art.146 del TU 42/04 grazie al D.Lgs 63/2008.
Che sia ben chiaro, le pronunce qui di seguito esaminate non rappresentano una posizione uniforme o consolidata in giurisprudenza, ma sono certamente significative per le riflessioni che stiamo sviluppando.
A riguardo, molto recentemente, il Consiglio di Stato, con la sentenza n.9798/2022, è entrato nel merito proprio del comma 4° dell’art.146, chiarendo un aspetto molto importante, ovvero che “Il parere della Soprintendenza previsto dall’art. 146 del D.Lgs. n.42 del 2004 deve essere emesso nel termine di 45 giorni; se tale termine non viene osservato il parere successivamente emesso non è illegittimo, ma perde ogni suo carattere vincolante per l’Amministrazione che lo ha richiesto.
Pertanto, in un caso siffatto, deve essere l’Amministrazione a motivare sulla concedibilità o meno dell’autorizzazione paesaggistica e, se potrà anche utilizzare argomenti espressi nel parere tardivo della Soprintendenza, non potrà però acriticamente rifarsi al predetto parere – dovendo invece assumere interamente su di sé l’onere di decidere (e dunque di motivare la propria determinazione) – giacché, diversamente opinando, si finirebbe col negare sostanzialmente qualunque rilievo giuridico al termine che la legge assegna alle Soprintendenze.”
Ma la questione è stata, ancor più recentemente, affrontata dal Consiglio di Stato nella sentenza n.2487/2023, dove si è accertata la natura e gli effetti del provvedimento negativo della Soprintendenza reso tardivamente all’interno del procedimento di autorizzazione paesaggistica con l’esame contemporaneo dell’assenso tacito decorso il termine di provvedere.
Secondo il Collegio “Con riferimento al profilo relativo al parere paesaggistico tardivamente formulato, questa Sezione ha invece affermato come lo stesso mantiene la propria efficacia, difettando una norma che, in via generale, faccia conseguire dal mancato rispetto del termine la perdita tout court del potere (cfr. sentenza n. 2584 del 7 aprile 2022).
Nonostante il decorso del termine per l’espressione del parere vincolante ai sensi dell’art. 146, d.lgs. n. 42 del 2004 da parte della Soprintendenza, non potrebbe escludersi in radice la possibilità per l’organo statale di rendere comunque un parere in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’intervento, fermo restando che, nei casi in cui vi sia stato il superamento del termine, il parere perde il suo carattere di vincolatività e deve essere autonomamente e motivatamente valutato dall’amministrazione deputata all’adozione dell’atto autorizzatorio finale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27 gennaio 2022, n.563).”
In ragione di questa prospettazione il Consiglio di Stato ha attestato che “Correttamente il Tar nella sentenza impugnata ha quindi rilevato come fossero insufficienti, per l’esercizio del potere di autotutela ex art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, il mero e generico riferimento all’interesse ambientale e alla tutela del territorio e al “complesso della normativa del settore”, in considerazione, d’altro canto, della inadeguatezza delle “circostanze di fatto da cui … si è originata la decisione di procedere in autotutela”.
In questo quadro, il parere tardivo della Soprintendenza, seppure efficace, non aveva più carattere vincolante, cosicché l’Amministrazione avrebbe dovuto comunque autonomamente motivare in ordine allo specifico interesse pubblico all’annullamento in autotutela.”
Quanto affermato dalla giurisprudenza apre una serie di ampie considerazioni in ragione dell’autonomia di cui godrebbe il Comune laddove la Soprintendenza (o soggetto delegato) formulasse un parere tardivo, ma ancor di più, dove non lo formulasse affatto.
Ma vi è un altro aspetto altrettanto importante da esaminare in ragione delle intervenute modifiche al comma 4, dell’art.146 del TU 42/04 grazie al D.Lgs 63/2008: gli atti di assenso – quello edilizio e quello paesaggistico – agiscono in modo interconnesso o autonomo? Perché anche da questo discendono altrettante considerazioni rilevanti ai fini delle iniziative che il Comune deve adottare laddove, in particolare, non sia mai stato formulato alcun parere paesaggistico.
Ma facciamo un passaggio ancora più ardito.
E se il parere non fosse stato mai acquisito ed il provvedimento fosse stato già rilasciato, che cosa succederebbe secondo voi?
Il Consiglio di Stato nella sentenza n.3446/2022, con una posizione decisamente interessante, stante le possibili implicazioni sul piano pratico, relativamente alle numerose situazioni esistenti simili a quella esaminata dal Collegio, ha affermato che “Sul piano generale, deve ricordarsi che l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio.
I due atti di assenso, quello paesaggistico e quello edilizio, operano su piani diversi, essendo posti a tutela di interessi pubblici diversi, seppur parzialmente coincidenti. Ne deriva che il parametro di riferimento per la valutazione dell’aspetto paesaggistico non coincide con la disciplina urbanistico edilizia, ma nella specifica disciplina dettata per lo specifico vincolo (cfr. Cons. St. 5327/2015, vedasi anche Cons. St. 5273/2013: “la valutazione di compatibilità paesaggistica è connaturata all’esistenza del vincolo paesaggistico ed è autonoma dalla pianificazione edilizia”). Ne deriva che il fatto che siano stati rilasciati i titoli edilizi, pur in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, non può in alcun modo legittimare anche sotto il profilo paesaggistico il fabbricato. Tale esito si porrebbe in contrasto con il principio espresso dalla Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost. 196/2004), secondo la quale l’interesse paesaggistico deve sempre essere valutato espressamente anche nell’ambito del bilanciamento con altri interessi pubblici, nonché con la giurisprudenza di questo Consiglio che, nelle materie che coinvolgono interessi sensibili, quale quello paesaggistico, limita l’istituto del silenzio assenso solo al ricorrere di previsioni normative specifiche e nel rispetto di tutti i vincoli ordinamentali (cfr. Cons. St. n. 6591/2008).
Risulta in sintonia con quanto appena ricordato il dato per cui esiste un principio di autonomia anche tra l’illecito urbanistico-edilizio e l’illecito paesaggistico, come anche un’autonomia tra i correlati procedimenti e regimi sanzionatori (cfr. Cons. St. 2150/2013).
Il Collegio, ancor più sorprendentemente, ha poi proseguito sostenendo che “Fermo tale approdo ed il conseguente rigetto del ricorso originario, stante l’affermata disponibilità degli appellati di sottoporre l’intero fabbricato a quella valutazione che all’epoca non era stata completata, deve ritenersi possibile, e finanche doveroso a fronte di una specifica istanza in tal senso, procedere a tale vaglio “ora per allora”, al quale deve poi ritenersi subordinato l’eventuale riesame dell’istanza relativa ai lavori di completamento per cui è causa.
Sotto tale profilo, deve valorizzarsi il fatto che il fabbricato era stato comunque valutato dalla Commissione Edilizia Integrata e non è dato conoscere le ragioni della mancata trasmissione della pratica alla Soprintendenza, dovendosi ragionevolmente escludere, in base alle evidenze in atti, che tale esito sia stato determinato da una consapevole condotta degli interessati volta ad ovviare al controllo soprintendizio; ne è indiretta conferma il fatto che gli stessi si sono dimostrati ben disponibili a sottoporre a valutazione sotto il profilo paesaggistico l’intero fabbricato.
La peculiarità della situazione come innanzi descritta ben può allora consentire alle amministrazioni coinvolte di rideterminarsi sul medesimo fabbricato, ora per allora.
Deve precisarsi che, da un lato, tale soluzione non si pone in contrasto con il principio di tipicità del provvedimento amministrativo, il quale non comporta che il momento di esercizio del potere amministrativo non possa essere spostato in avanti in tutti i casi in cui sia ancora possibile effettuare le valutazioni che ne sono alla base (cfr. Cons. St., 30 marzo 2004, n. 1695); dall’altro, detta soluzione, per la particolarità che contraddistingue la vicenda, appare quella che contempera nel miglior modo i diversi interessi in conflitto.
Per le ragioni esposte, deve ritenersi possibile che le amministrazioni coinvolte si rideterminino, valutando la compatibilità paesaggistica del fabbricato originario, nonché, se del caso, delle successive opere di completamento per cui è causa.”
E qui viene fornita una risposta qualificata, ai molti pareri rilasciati dalle Soprintendenze territoriali che entrano, invece, nel merito delle valutazioni più strettamente edilizio-urbanistiche e a volte anche in relazione allo stato legittimo degli immobili.
In relazione allo “stato legittimo” è sempre il Consiglio di Stato nella pronuncia n.3006/2023 a rispondere specificando che “Da tale modifica normativa deriva la necessità, come detto, per l’autorità procedente (titolare della cura degli interessi paesaggistici, in questo caso il Comune), di valutare specificamente in sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica l’incidenza dell’intervento progettato dal richiedente sul paesaggio in senso lato, e non gli aspetti attinenti alla regolarità urbanistica ed edilizia dell’opera, stante l’autonomia strutturale e funzionale del titolo paesaggistico rispetto a quelli implicanti l’accertamento della legittimità urbanistico-edilizia del medesimo progetto (cfr. fra le tante Cons. Stato, sez. IV, 13 aprile 2016 n. 1436; 21 agosto 2013 n. 4234; 27 novembre 2010 n. 8260 e sez. VI, 3 maggio 2022 n. 3446). La medesima autonomia dei profili paesaggistici dagli aspetti urbanistico-edilizi si riscontra nel “diritto vivente” della giurisprudenza costituzionale e penale (della Cassazione), secondo il quale i reati in materia edilizia e paesaggistica si riferiscono alla tutela di interessi pubblici e beni giuridici distinti, con tutte le conseguenze in tema di concorso dei reati, cause di estinzione del reato, e via discorrendo (cfr. Corte cost. n. 439 del 2007, n. 378 del 2007, n. 144 del 2007, Cass. pen., sez. III, 22 marzo 2013, n. 13783; sez. un., 28 novembre 2001, Salvini, sez. V, 7 settembre 1999, Savia; sez. III, 4 aprile 1995, Marano).
5.CONCLUSIONI
Come avrete certamente colto, l’iniziale dubbio sulla fattibilità della autorizzazione paesaggistica postuma si è, dopo questa breve lettura, quantomeno affievolito.
Vi verranno alla mente diversi casi nei quali vi siete trovati impantanati a causa di provvedimenti che avevano “dimenticato” di acquisire l’autorizzazione paesaggistica, oppure casi nei quali la Soprintendenza – e non il Comune – è entrata nel merito di come debbano essere “calcolate” le superfici utili o i volumi inammissibili di cui al comma 4, dell’art.167 del TU 42/2004.
Insomma, gli spunti per una visione decisamente diversa dalla inflessibilità di alcune Soprintendenze o amministrazioni comunali, ci sono tutti. A voi spetta l’onere di portarli “dalla vostra parte” usando l’abile ed esperta posizione di una parte della magistratura amministrativa.