Abbiamo pensato molto a quale poteva essere il primo articolo da pubblicare attraverso Legislazione Tecnica considerato che esistono, anche in conseguenza del superbonus, temi davvero caldissimi. Eravamo indecisi se partire con la “fiscalizzazione”, argomento che, letteralmente, infiamma sia i libero professionisti che le pubbliche amministrazioni e al quale dedicheremo la prossima uscita, e di concentrarsi sul terreno sdrucciolevole della ristrutturazione edilizia leggera eseguita attraverso la demolizione e ricostruzione.
E non è un caso.
Ma andiamo al cuore del problema. Dal 2020, ma il percorso è partito qualche anno prima, il legislatore nazionale ha stabilito che nella ristrutturazione edilizia cd. “leggera”, ovvero quella riconducibile all’art.3, comma 1, lett. d), “… sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana.”
Come ONERIZERO ci siamo chiesti moltissime volte: ma cosa c’è da capire oltre a quello che letteralmente c’è scritto? Perché, quando il legislatore nazionale ha avviato un rapido lavoro chiaramente proteso verso la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente in base all’interesse pubblico collegato:
– al recupero dell’edificazione esistente a scapito della nuova costruzione e del consumo del suolo;
– alla rigenerazione di detto patrimonio immobiliare
– alla necessità di efficientare gli involucri anche dal punto di vista del consumo di energia, e con una specifica attenzione all’economia circolare e alla bioedilizia
– al miglioramento della qualità della vita abitativa e non
– alla valorizzazione e modernizzare dello spazio urbano, in molte situazioni, altamente degradato
– al riordino delle città e delle urbanizzazioni anche per tutelare la coesione sociale e la disabilità
La magistratura ha spesso “tirato la cinghia” interpretativa qualificando, in più di qualche sporadica occasione, la demolizione e ricostruzione di manufatti incongrui e vetusti come nuova costruzione. Imponendo, in alcuni casi, la rinuncia all’intervento perché non prevista dalla pianificazione comunale, oppure rendendo particolarmente gravoso l’intervento dal punto di vista contributivo.
Ma perché tanta demonizzazione? Eppure la demo-ricostruzione come “nuova costruzione” non è nemmanco prevista dalla legge, tenuto presente l’ultimo comma dell’art.3 del TU 380/2001 stabilisce che le “definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi.”
Andate a rileggere l’art.3, c.1, lettera e), del TUE e ditemi se trovate scritto da qualche parte nella, pur variegata casistica delle tipologie edilizie ascrivibili a “nuova costruzione” la demo-ricostruzione. Ciò nonostante moltissimi Collegi, facendo esplicito riferimento alla normativa valida dopo l’entrata in vigore del DL 76/2020, si sono premurati di spiegare che nella ristrutturazione edilizia leggera ”permane comunque la ratio qualificante l’intervento edilizio, che postulando la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, è comunque finalizzata al recupero del medesimo, pur con le ammesse modifiche di esso.
Tale impostazione è supportata dalla recente giurisprudenza che, nel definire gli interventi di ristrutturazione edilizia, afferma la necessità che venga conservato l’immobile preesistente, del quale deve essere comunque garantito il recupero. Allo stesso modo la ristrutturazione dei manufatti crollati o demoliti è possibile al solo fine del loro “ripristino“, termine quest’ultimo dal significato univoco nella parte in cui esclude la mera demolizione a vantaggio di un edificio diverso.
La finalità di conservazione del patrimonio edilizio esistente propria della ristrutturazione contraddistingue tale intervento rispetto a quelli di “nuova costruzione“, strutturalmente connotati dalla assenza di una preesistenza edilizia.
Pertanto, secondo la Corte, pur con le ampie concessioni legislative in termini di diversità tra la struttura originaria e quella frutto di ristrutturazione, l’intervento di ristrutturazione non può prescindere dal conservare traccia dell’immobile preesistente.” (Cass. Penale n.1669/2023)
ONERIZERO sostiene, molto più semplicemente che – salvi puntuali limiti collegati alla natura o alla collocazione dell’immobile – l’interesse pubblico deve essere prevalente e “nell’applicare la legge non si può attribuirle altro senso che quello fatto palese dal proprio significato delle parole, secondo la connessione di esse” (art.12 delle preleggi).
Il nostro intento non è quello di banalizzare la norma ma nemmeno di attribuire un sovra-significato che pare condurre ad una lettura contraria alla tutela degli interessi pubblici che la sottendono.
Insomma, mi permetto di dirlo in modo chiaro. Se non vi sono norme speciali di tutela del patrimonio edilizio derivanti da legge o da regolamento, la ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione planivolumetricamente diversa dal preesistente è sempre ammessa, e non è una nuova costruzione.
Invece, solo nell’arco dell’ultimo mese, e da più regioni, sono arrivati a ONERIZERO almeno 10 casi di demolizione e ricostruzione configurati come nuova costruzione, in assenza totale di norme che ne possano giustificare una siffatta qualificazione.
Ma il disagio attuativo sul tema “ristrutturazione edilizia” si allarga ad altre problematiche come, ad esempio, l’innata vocazione di molte amministrazioni di confondere la manutenzione straordinaria con la ristrutturazione edilizia – https://onerizero.it/2022/07/28/manutenzione-straordinaria-confusa-con-ristrutturazione/ – finendo per far diventare onerosi interventi assolutamente gratuiti.
Oppure ritenere la ricostruzione degli edifici crollati o demoliti, prevista allo stesso articolo 3, c.1, lettera d) del TUE, una ristrutturazione edilizia pesante o peggio, una nuova costruzione, anche nei casi di fedele ricostruzione (https://onerizero.it/2022/06/26/edifici-crollati-e-oneri-edilizi/ ).
E non si è fatta menzione al fatto che l’attuale ristrutturazione edilizia leggera può prevedere anche aumenti di volume. Se già è complicato far passare il concetto che la ricostruzione pari volume di un edificio esistente può essere – salvi eventuali puntuali limiti imposti dalla norma – una ristrutturazione edilizia leggera, figuriamoci rendere fluido il concetto dell’aumento all’interno della stessa categoria edilizia. Sull’argomento mi sono permessa ancora nel 2021 di pubblicare un articolo – https://onerizero.it/2021/03/25/ristrutturazione-edilizia-leggera/ – che contiene una Tabella con tutti i riferimenti alle norme sulla rigenerazione urbana (al 2021) regione per regione.
Insomma, l’argomento ristrutturazione edilizia è davvero un tema caldissimo per chi opera nel settore immobiliare, non senza contare le ripercussioni che ha classificare come nuova costruzione o come ristrutturazione edilizia pesante un intervento di ristrutturazione edilizia leggera, considerata la conseguente impossibilità di accedere alle agevolazione fiscali più rilevanti.