RICOSTRUZIONE DEGLI EDIFICI CROLLATI

Quanti tipi sono, qual'è la loro esatta classificazione e cosa succede agli oneri.

Indice

– Premessa

– ART.17, C.3, LETT.D) DEL TU 380/2001

– ART.3, C.1, LETT.D) DEL TU 380/2001 e TABELLA A.2.2 LR 61/85

– E gli oneri?

 

PREMESSA

Secondo la giurisprudenza costituzionale, la definizione delle categorie di interventi edilizi a cui si collega il regime dei titoli abilitativi costituisce principio fondamentale della materia concorrente del «governo del territorio», vincolando la legislazione regionale di dettaglio (sentenza n. 303 del 2003; in seguito, sentenze n. 259 del 2014, n. 171 del 2012; n. 309 del 2011). Cosicché, pur non essendo precluso al legislatore regionale di esemplificare gli interventi edilizi che rientrano nelle definizioni statali, tale esemplificazione, per essere costituzionalmente legittima, deve essere coerente con le definizioni contenute nel testo unico dell’edilizia.” (Corte Cost. 261/2016)

Per questa ragione tali “eccezioni” sono da considerarsi di stretta interpretazione, non essendo consentito alla stessa potestà legislativa concorrente di ampliare le ipotesi al di là delle specifiche indicazioni della legislazione statale, in considerazione della natura della norma statale quale fondatrice dei principi fondamentali in tema di governo del territorio.

L’intervento di ricostruzione degli edifici crollati trova, quindi, nel quadro normativo esistente, due possibili riferimenti:

-l’art.3, c.1, lett d) del TU 380/01

-l’art.17, c.3, lett.d) sempre del TU 380/01.

Il primo fa riferimento alla definizione base di ristrutturazione edilizia (alias “leggera”), il secondo agli interventi ricostruttivi effettuati a seguito di calamità naturali.

In base ai riferimenti normativi è fondamentale, quindi, caratterizzare correttamente l’intervento edilizio se ascrivibile a l’una o l’altra fattispecie.

Esaminiamo i due articoli sopra richiamati separatamente.

ART.17, C.3, LETT.D) DEL TU 380/2001

L’art. 17, co. 3, lett. d), del TU edilizia classifica gli interventi edilizi esentati dal contributo di costruzione, e tra questi anche “… gli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità“.

Quest’ultima deve essere intesa come un evento imprevisto e dannoso che, per caratteristiche ed estensione, sia tale da colpire e/o mettere in pericolo non solo una o più persone o beni determinati, bensì una intera ed indistinta collettività di persone ed una pluralità non definibile di beni, pubblici o privati.

Ciò che caratterizza, dunque, il carattere “pubblico” della calamità e lo differenzia da altri eventi dannosi, pur gravi, è la riferibilità dell’evento ad una collettività, laddove, negli altri casi, l’evento colpisce a singoli edifici o comunque ad un immobile ben definito e, come tale, affrontabile con ordinarie misure di intervento.

Perché possa ricorrere l’ipotesi di cui all’art. 17 cit., occorre che gli interventi da realizzare costituiscano attuazione di norme o di provvedimenti amministrativi che espressamente li prevedono e che siano stati adottati a seguito di eventi eccezionali, dannosi o pericolosi per la collettività, tali da richiedere l’esercizio di poteri straordinari.

Nel caso di un incendio, invece, l’evento si caratterizza quale evento che ha colpito beni specici e che, per dimensioni, caratteristiche ed intensità, è stato tale da non richiedere particolari interventi di contrasto o esercizio di poteri straordinari. Ne consegue, quindi, l’inapplicabilità dell’esenzione di cui all’art. 17, co. 3, lett. d), D.P.R. n. 380/2001.

ART.3, C.1, LETT.D) DEL TU 380/2001 e TABELLA A.2.2 LR 61/85

Fino all’entrata in vigore del DL n. 69/2013, poi convertito in L. 98/2013, la definizione di ristrutturazione edilizia (art. 3 c.1 lettera d del DPR 380/01) aveva un “limite superiore” che comprendeva gli interventi di demolizione e ricostruzione con medesima volumetria e sagoma di quello preesistente, eccettuato le sole innovazioni per l’adeguamento antisismico.

Tale tipologia di intervento non faceva scattare, quindi, il regime di nuova costruzione qualora fossero rispettate e invariate le volumetrie e sagome preesistenti; in caso contrario si usciva dal regime di ristrutturazione edilizia per confluire in quello di altra tipologia edilizia. E’ appena il caso di enunciare che la definizione di ristrutturazione edilizia anteriore al Decreto del Fare non faceva neppure cenno alla possibilità o meno di demolire e ricostruzione con traslazioni di sorta, aspetto che la giurisprudenza amministrativa ha ampiamente trattato.

Con l’entrata in vigore del DL 69/2013 l’art.3, c.1, lett d) è diventato il seguente: “interventi di ristrutturazione edilizia”, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonche’ quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purche’ sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente.

Si badi bene che tale definizione ha trovato successivamente ulteriori modifiche ed integrazioni.

Il legislatore nazionale ha puntualmente e chiaramente stabilito che – stante la necessità di attuare una “stretta interpretazione” – si rientra nella ricostruzione di un edificio crollato ex art.3, c.1, lett.d) del TUE solo laddove si rispettino esattamente le condizioni ivi imposte (Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2017 n. 443). In difetto di quest’ultime si ricade nella nuova costruzione.

Si deve quindi verificare se l’edificio in ricostruzione rispetta i parametri costruttivi imposti dalla norma nazionale. Ovvero se sussistono, non solo i parametri invocati dalla normativa regionale, ma ancor prima, di quella nazionale.

Va da se che il controllo ricade puntualmente nella presenza o meno di una variazione del volume.

Che la variazione del volume costituisca un elemento cardine per ricondurre l’intervento della ristrutturazione ricostruttiva anche laddove l’intervento si misuri in mq, è sancito anche dalla Tabella A allegata al D.Lvo 222/2016, dove il legislatore ha ribadito che l’edificio ricostruito “deve avere la stessa volumetria di quello preesistente fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.

La normativa nazionale non fa alcuna differenza tra le destinazioni d’uso. Va da se che tale limite volumetrico riguarda tutte, compresa quella extra-residenziale.

In tutti i casi in cui non sia rispettato il volume esistente, o questo non possa essere ricostruito con esattezza – alias medesima consistenza di quella preesistente – oppure nei casi in cui non si rispetti la sagoma in ambiti vincolati, si esce dalla definizione di ristrutturazione edilizia per approdare nelle definizioni della “nuova costruzione“. Non è sufficiente, quindi, la verifica della sola variazione della superficie utile di calpestio.

Un altro elemento importante è il trascorrere del tempo. Proprio tale requisito assume particolare rilevanza, dal momento che la forbice temporale (teoricamente senza limite) tra l’epoca di esistenza del fabbricato e quella del suo ripristino impone verifiche particolarmente accurate sull’esistenza e sulla consistenza dell’edificio distrutto.

Se già non fosse sufficiente quanto sopra rappresentato, a ulteriore chiarimento di eventuali problemi interpretativi sorti dopo l’entrata in vigore della modifica legislativa del 2013, considerato che la materia della definizione degli interventi edilizi è di competenza statale, la Regione Lazio ha formulato un recentissimo parere – prot. n.62118 del 23.1.2020 – già espresso in una precedente parere del 2016, facendo riferimento ad una nota della Prima Sezione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici prot.3/2016.

Il Ministero ha rimarcato la necessità che l’accertamento della “preesistente consistenza” sia effettuato con il “massimo rigore”, basato su dati certi ed obiettivi quali la documentazione fotografica, cartografie, ecc., dalle quali si ricavino tutte le caratteristiche essenziali dell’edificio preesistente (volumetria, altezza, struttura complessiva, ecc.). Con la conseguenza che “in mancanza anche di uno solo di tali elementi, necessari per la dovuta attività ricognitiva, dovrà escludersi la sussistenza del requisito richiesta dalla norma.

In conclusione, la Regione, ha stabilito che la ricostruzione della originaria consistenza debba essere fatta in modo assolutamente rigoroso, perché tale dato è essenziale per essere certi di rientrare nelle previsioni di legge: una valutazione non rigorosa di tale valore può comportare, un domani, nel caso in cui si riscontrino errori gravi nella determinazione delle consistenze, l’annullabilità del titolo edilizio per assenza dei presupposti.

A tale proposito corre incontro anche la sentenza della Corte di Cassazione Penale n.39340/2018 (nello stesso senso Cass. Penale, sez III, n.45147/2015), la quale ha riaffermato e chiarito i seguenti principi:

-gli interventi di ristrutturazione edilizia consistenti nel ripristino o nella ricostruzione di edici o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti impongono, quale imprescindibile condizione, che sia possibile accertare la preesistente consistenza di ciò che si è demolito o è crollato;

-il termine “consistenza” include tutte le caratteristiche essenziali dell’edicio preesistente (volumetria, altezza, struttura complessiva, etc.)

Con la conseguenza che, in mancanza anche di uno solo di tali elementi, dovrà escludersi la sussistenza del requisito richiesto dalla norma.

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