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COSA SONO LE UNITA’ COLLABENTI
I “Quaderni dell’Osservatorio – Appunti di Economia Immobiliare” dell’Agenzia delle Entrate, stabiliscono che “nell’archivio del Catasto Edilizio Urbano (o catasto dei fabbricati) sono presenti beni immobiliari privi di rendita. Tra questi vi sono i cosiddetti fabbricati collabenti.
Il termine, d’uso nel linguaggio catastale, sicuramente non è invece usuale nel linguaggio corrente. La parola “collabente” è il participio presente (utilizzabile anche come aggettivo) del verbo collabire.
Secondo il dizionario Treccani, collabire significa «rovinare, cadere» ovvero «cadere, scivolare insieme». Si potrebbe sintetizzare che si tratta di qualcosa che esiste ma sta cadendo.
Il fatto che negli archivi catastali siano registrati anche immobili di tale natura, ovvero diruti e pertanto privi di autonomia funzionale e potenzialità reddituale, deriva da una ragione più ampia, che non riguarda solo questa fattispecie di immobili, ma anche altre tipologie. L’insieme di queste fattispecie afferisce, infatti, alle categorie catastali cosiddette fittizie.
La principale ragione della iscrizione negli archivi catastali di queste specifiche categorie – prive di rendita – è connessa alle ragioni civilistiche della esatta individuazione dei cespiti (e dell’intestatario) al momento di un trasferimento di diritti reali anche per oggetti immobiliari che non producono reddito (si rammenta che il catasto italiano registra valori immobiliari di natura reddituale e non patrimoniale).
Sempre secondo l’Agenzia delle Entrate, dette unità sono ascrivibili alla categoria F/2, ovvero “Unità collabenti va attribuita a immobili diroccati, ai ruderi, ovvero ai beni immobili caratterizzate da notevole livello di degrado che ne determina l’assenza di autonomia funzionale e l’incapacità reddituale, temporalmente rilevante.
L’aspetto rilevante è che l’iscrizione in catasto è possibile ma non obbligatoria, quindi è facoltativa. Inoltre, per l’iscrizione dei beni immobili in catasto di tali beni occorre:
la relazione sullo stato dei luoghi, con particolare riferimento alle strutture e alla conservazione del manufatto (corredata di documentazione fotografica), sottoscritta da un tecnico;
l’autocertificazione, resa dall’intestatario del bene, attestante l’assenza di allacciamento dell’unità alle reti dei servizi pubblici dell’energia elettrica, dell’acqua e del gas.”
RICOSTRUZIONE EDILIZIA DI EDIFICI CROLLATI O DEMOLITI: LA NORMATIVA NAZIONALE
“Secondo la giurisprudenza costituzionale, la definizione delle categorie di interventi edilizi a cui si collega il regime dei titoli abilitativi costituisce principio fondamentale della materia concorrente del «governo del territorio», vincolando la legislazione regionale di dettaglio (sentenza n. 303 del 2003; in seguito, sentenze n. 259 del 2014, n. 171 del 2012; n. 309 del 2011). Cosicché, pur non essendo precluso al legislatore regionale di esemplificare gli interventi edilizi che rientrano nelle definizioni statali, tale esemplificazione, per essere costituzionalmente legittima, deve essere coerente con le definizioni contenute nel testo unico dell’edilizia.” (Corte Cost. 261/2016)
Per questa ragione tali “eccezioni” sono da considerarsi di stretta interpretazione, non essendo consentito alla stessa potestà legislativa concorrente ampliare le ipotesi al di là delle specifiche indicazioni della legislazione statale, in considerazione della natura della norma statale quale fondatrice dei principi fondamentali in tema di governo del territorio.
L’intervento di ricostruzione di un edificio crollato trova, quindi, nel quadro normativo esistente, due possibili riferimenti:
l’art.3, c.1, lett d) del TU 380/01
l’art.17, c.3, lett.d) sempre del TU 380/01.
Il primo fa riferimento alla definizione base di ristrutturazione edilizia, il secondo agli interventi ricostruttivi effettuati a seguito di calamità naturali.
Esaminiamo i due articoli sopra richiamati separatamente.
ART.17, C.3, LETT.D) DEL TU 380/2001
L’art. 17, co. 3, lett. d), del TU edilizio contempla “gli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità“. Quest’ultima deve essere intesa come un evento imprevisto e distruttivo (in tutto o in parte) che, per caratteristiche, estensione, potenzialità offensiva sia tale da colpire e/o mettere in pericolo non solo una o più persone o beni determinati, bensì una intera e non identificata collettività di persone oltre che una pluralità non definibile di beni, pubblici o privati.
Ciò che caratterizza, dunque, il carattere “pubblico” della calamità e la differenzia da altri eventi rovinosi o distruttivi, pur gravi, è la riferibilità dell’evento (in termini di danno e di pericolo) a una comunità, ovvero ad una pluralità non definibile di persone e cose, laddove, negli altri casi, l’evento colpisce (ed è dunque circoscritto) a singoli, specifici soggetti o beni e, come tale, è affrontabile con ordinarie misure di intervento.
Perché possa ricorrere l’ipotesi di cui al predetto art. 17, occorre che gli interventi da realizzare costituiscano attuazione di norme o di provvedimenti amministrativi che espressamente li prevedono e che siano stati adottati a seguito di eventi eccezionali e pericolosi per la collettività, tali da richiedere l’esercizio di poteri straordinari.
ART.3, C.1, LETT.D) DEL TU 380/2001
Questa è la norma che più interessa a coloro che vogliono aderire alle agevolazioni fiscali ed in particolare al Superbonus.
Fino all’entrata in vigore del DL n. 69/2013, poi convertito in L. 98/2013, la definizione di ristrutturazione edilizia (art. 3 c.1 lettera d del DPR 380/01) aveva un limite che comprendeva gli interventi di demolizione e ricostruzione con medesima volumetria e sagoma di quello preesistente, eccettuato le sole innovazioni per l’adeguamento antisismico.
Tale tipologia di intervento non faceva scattare, quindi, il regime di nuova costruzione qualora fossero rispettate e invariate le volumetrie e sagome preesistenti. In caso contrario si usciva dalla ristrutturazione edilizia per affluire in quello della “sostituzione edilizia“, tipologia non qualificata nel TUE ma solo in alcune declinazioni normative regionali o comunali, e quindi nella nuova costruzione.
E’ appena il caso di enunciare che la definizione di ristrutturazione edilizia anteriore al Decreto del Fare non faceva nessun riferimento alla possibilità o meno di demolire e ricostruzione con traslazioni di sorta, aspetto che la giurisprudenza amministrativa ha ampiamente trattato.
Con l’entrata in vigore del DL 69/2013 l’art.3, c.1, lett d) è diventato il seguente: “interventi di ristrutturazione edilizia”, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonche’ quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purche’ sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente.
Oggi, la definizione ha preso una portata ancora più ampia ma senza incidere sulla possibilità di “ricostruire” gli edifi crollari e demoli.
L’art.3 del TUE – in base alle previsioni dell’art.117 Cost. – deve essere considerato estrinsecante i principi fondamentale in materia, non derogabili dalla norma regionale. Infatti, il “Governo del Territorio” materia di legislazione concorrente dove spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
L’art.2, c.1, del TU 380/01 stabilisce, infatti, che …”Le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi.”…
Il legislatore nazionale ha puntualmente e chiaramente stabilito che – stante la necessità di attuare una “stretta interpretazione” – si rientra nella ricostruzione di un edificio crollato ex art.3, c.1, lett.d) del TUE solo laddove si rispettino esattamente le condizioni ivi imposte (Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2017 n. 443). In difetto di quest’ultime si ricade nella nuova costruzione.
Che la variazione del volume costituisca un elemento cardine per ricondurre l’intervento della ristrutturazione ricostruttiva, è sancito anche dalla Tabella A allegata al D.Lvo 222/2016, dove il legislatore ha ribadito che l’edificio ricostruito “deve avere la stessa volumetria di quello preesistente fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.
La normativa nazionale non fa alcuna differenza tra le destinazioni d’uso. Va da se che tale limite volumetrico le riguarda tutte.
Si ribadisce, quindi, che in tutti i casi in cui non sia rispettato il volume esistente, o questo non possa essere ricostruito con esattezza – alias medesima consistenza di quella preesistente – oppure nei casi in cui non si rispetta la sagoma in ambiti vincolati, si esce dalla definizione di ristrutturazione edilizia per approdare nelle definizioni della “nuova costruzione”.
L’ACCESSO ALLE AGEVOLAZIONI FISCALI
L’Agenzia delle Entrate è entrata più volte nel merito dell’accesso alle agevolazioni fiscali in relazione alle unità collabenti. Si evidenziano qui di seguito alcune pronuncie che si ritengono più interessanti ed esaustive.
Con l’Interpello n.121/2021, l’Agenzia ha precisato che “con riferimento alla possibilità di fruire del Superbonus anche nel caso in cui l’intervento di demolizione e ricostruzione sia realizzato su immobili accatastati F/2, che solo al termine dei lavori diverrà edificio residenziale si fa presente quanto segue.
Laddove l’intervento di demolizione e ricostruzione rientri tra quelli di ristrutturazione edilizia di cui al citato articolo 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001, e tale circostanza risulti dal titolo amministrativo, e vengano effettuati interventi antisismici rientranti nel Superbonus su immobili esistenti, iscritti nel Catasto Fabbricati, l’Istante potrà fruire delle citate agevolazioni, nel rispetto di ogni altra condizione richiesta dalla normativa e fermo restando l’effettuazione di ogni adempimento richiesto (aspetti non oggetto della presente istanza di interpello).
Sempre relativamente agli interventi antisismici, come precisato il comma 4 del citato articolo 119 del decreto Rilancio, stabilisce che la detrazione spettante per tali interventi ai sensi dell’articolo 16, commi da 1-bis a 1-septies, del decreto legge n. 63 del 2013 (cd. sismabonus) è elevata al 110 per cento per le spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 30 giugno 2022. Per effetto del rinvio, contenuto nel citato articolo 16 del decreto legge n. 63 del 2013, all’articolo16-bis, comma 1, lettera i), del TUIR, gli interventi ammessi al sismabonus sono quelli indicati nel medesimo articolo 16-bis, del TUIR che deve intendersi quale norma di riferimento generale. In particolare, per effetto del predetto rinvio, gli interventi ammessi al sismabonus non possono fruire di un autonomo limite di spesa in quanto non costituiscono una nuova categoria di interventi agevolabili. Pertanto, nel caso in cui vengano eseguiti sul medesimo immobile sia interventi di recupero del patrimonio edilizio sia interventi antisismici, il limite massimo di spesa ammesso alla detrazione è pari a 96.000 euro. Va, peraltro, precisato che anche per gli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche vale il principio secondo cui l’intervento di categoria superiore assorbe quelli di categoria inferiore ad esso collegati o correlati.
Pertanto, il Superbonus si applica, ad esempio, nel limite complessivo di spesa previsto (nel caso di specie 96.000 euro), anche alle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria necessarie al completamento dell’intervento di demolizione e ricostruzione. Ciò considerato, con riferimento al caso di specie ed in particolare al quesito sub 1) si ritiene che il contribuente nel rispetto di ogni altra condizione richiesta dalla norma agevolativa, possa fruire della detrazione prevista dal decreto rilancio (Superbonus) in relazione agli interventi relativi alla riduzione del rischio sismico “sismabonus” che prevedono la demolizione e ricostruzione del fabbricato classificato nella categoria catastale F/2 (due unità collabenti) sempreché gli interventi realizzati mediante demolizione e ricostruzione siano inquadrabili nella categoria della “ristrutturazione edilizia” ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera. d), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, circostanza non verificabile in questa sede atteso che il titolo abilitativo che assente i lavori non è stato prodotto.
La spesa massima ammissibile è di 96.000 euro moltiplicato per il numero di due unità collabenti F/2, cosi come indicati dall’Istante all’inizio dei lavori e non quelle risultanti alla fine dei lavori. Rientrano nel richiamato limite di spesa anche gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria quali, ad esempio, il rifacimento delle pareti esterne e interne, dei pavimenti, dei soffitti, dell’impianto idraulico ed elettrico necessarie per completare l’intervento nel suo complesso delle due unità collabenti F/2.”
Con l’Interpello n.161/2021, l’Agenzia ha specificato che: “Per quanto riguarda la possibilità di fruire del Superbonus in caso di interventi realizzati su una unità censita al catasto fabbricati nella categoria catastale F/2 (“unità collabenti”), si rappresenta quanto segue.
Nella citata circolare n. 30/E del 2020 (paragrafo 3.1.4) è stato chiarito che il comma 1 dell’articolo 119 del decreto Rilancio espressamente dispone l’incremento al 110 per cento della «detrazione di cui all’articolo 14» del decreto legge n. 63 del 201311, nei casi ivi elencati (ecobonus). Analoga previsione è contenuta nel comma 4 del medesimo articolo 119 del decreto Rilancio, riferito agli interventi antisismici, ai sensi del quale «Per gli interventi di cui ai commi da 1-bis a 1-septies dell’articolo 16 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 90, l’aliquota delle detrazioni spettanti è elevata al 110 per cento per le spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021».
Relativamente alle detrazioni disciplinate nei richiamati articoli 14 e 16 del decreto legge n. 63 del 2013, nella circolare 8 luglio 2020 n. 19/E è stato ribadito che tali detrazioni spettano anche per le spese sostenute per interventi realizzati su immobili classificati nella categoria catastale F/2 (“unità collabenti”) in quanto, pur trattandosi di una categoria riferita a fabbricati totalmente o parzialmente inagibili e non produttivi di reddito, gli stessi possono essere considerati come edifici esistenti, trattandosi di manufatti già costruiti e individuati catastalmente.
Ai fini dell’ecobonus, inoltre, per gli edifici collabenti, nei quali l’impianto di riscaldamento non è funzionante, deve essere dimostrabile che l’edificio è dotato di impianto di riscaldamento rispondente alle caratteristiche tecniche previste dal d.lgs. 19 agosto 2005 n. 192 e che tale impianto è situato negli ambienti 0 nei quali sono effettuati gli interventi di riqualificazione energetica. Ciò in quanto, ai fini della predetta agevolazione, gli edifici oggetto degli interventi devono avere determinate caratteristiche tecniche e, in particolare, devono essere dotati di impianti di riscaldamento, presenti negli ambienti in cui si realizza l’intervento agevolabile. Questa condizione è richiesta per tutte le tipologie di interventi agevolabili ad eccezione dell’installazione dei collettori solari per produzione di acqua calda e, dal 1° gennaio 2015, dei generatori alimentati a biomassa e delle schermature solari. Per effetto del richiamo contenuto nel citato articolo 119 del decreto Rilancio agli articoli 14 e 16 del decreto legge n. 63 del 2013, i principi sopra enunciati si applicano anche ai fini del Superbonus.
Pertanto, è possibile fruire del Superbonus anche relativamente alle spese sostenute per gli interventi realizzati su edifici classificati nella categoria catastale F/2 (“unità collabenti”) a condizione, tuttavia, che al termine dei lavori l’immobile rientri in una delle categorie catastali ammesse al beneficio (immobili residenziali diversi da A/1, A/8, A/9 e relative pertinenze). L’articolo 1, comma 66, lettera c) della citata legge di bilancio 2021 ha inserito nell’articolo 119 del decreto Rilancio, il comma 1-quater ai sensi del quale sono compresi fra gli edifici che accedono al Superbonus «anche gli edifici privi di attestato di prestazione energetica perché sprovvisti di copertura, di uno o più muri perimetrali, o di entrambi, purché al termine degli interventi, che devono comprendere anche quelli di cui alla lettera a) del comma 1 [dell’art. 119], anche in caso di demolizione e ricostruzione o di ricostruzione su sedime esistente, raggiungano una classe energetica in fascia A.».
Con riferimento al caso di specie, si ritiene che – laddove l’intervento rientri tra quelli di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001, e tale circostanza risulti dal titolo amministrativo, e vengano effettuati interventi antisismici e di efficienza energetica rientranti nel Superbonus su immobili esistenti iscritti nel catasto fabbricati (F/2) – l’Istante può fruire delle citate agevolazioni, nel rispetto di ogni altra condizione richiesta dalla normativa e fermo restando l’effettuazione di ogni adempimento richiesto (aspetti non oggetto della presente istanza di interpello).
Al riguardo, si ritiene che, sentita ENEA, per gli interventi di efficientamento energetico (ad eccezione dell’installazione dei collettori solari per produzione di acqua calda e dei generatori alimentati a biomassa) deve altresì essere dimostrato, sulla base di una relazione tecnica, che nello stato iniziale l’edificio era dotato di un impianto idoneo a riscaldare gli ambienti di cui era costituito. In tale ipotesi, l’Istante è esonerato dal produrre l’A.P.E. iniziale.”